Quattro barche a vela storiche sottoposte a restauro, tutte progettate nell’ultimo mezzo secolo dal leggendario studio di progettazione navale Sparkman & Stephens di New York.
È quanto accaduto recentemente presso il Cantiere Pezzini di Viareggio, storica realtà della cantieristica da diporto fondata in Toscana nel 1905. Le barche sono Ojalà II del 1973, costruita in alluminio, gli Swan classici in vetroresina Black Tie del 1981 e Vanessa del 1985 e infine Mait II, realizzata in legno nel 1957. Una dimostrazione di come le maestranze del Cantiere Pezzini siano in grado di intervenire indifferentemente su barche costruite con i principali materiali impiegati per la costruzione navale.
OJALÀ II, PUROSANGUE DA REGATA
Ojalà II è uno sloop Marconi lungo 11,54 metri, costruito in alluminio nel 1973 dal cantiere olandese Royal Huisman su progetto di Sparkman & Stephens. Dal 2009, come accaduto anche quest’anno, il Cantiere Pezzini (www.cantierepezziniviareggio.it) ne ha sempre curato la manutenzione ordinaria e straordinaria. La barca è sempre appartenuta alla famiglia inglese Holland, proprietaria dal 1950 del colosso Amplifon, leader mondiale nel settore degli apparecchi acustici. Innumerevoli le competizioni alle quali ha partecipato, tra cui il Fastnet e la One Ton Cup del 1973, 4 Middle Sea Race (1979-2013-2015-2017), numerose edizioni della Giraglia, Campionati del Mediterraneo, Settimana delle Bocche, Settimana di Alassio e 7 Campionati CIM riservati alle barche d’epoca e classiche. Nel 1977 ha attraversato l’Oceano Atlantico ed è rientrata in Europa l’anno successivo. Dalla fine degli anni Ottanta la barca è sempre stata gestita dal velista milanese e coordinatore sportivo Michele Frova, classe 1953, ex dirigente di azienda nel settore utensileria, da sempre amico della famiglia Holland. Negli ultimi 12 anni la barca si è presentata sulla linea di partenza di almeno 150 regate. Nel solo 2018, oltre a vincere la Settimana Velica Internazionale di Livorno, la Settimana dell’Argentario e la Settimana di Napoli, ed essere salita sul podio in tutte le regate alle quali ha partecipato, si è aggiudicata le coppe AIVE del Tirreno e il Trofeo Sparkman & Stephens.
IL RESTAURO “A TAPPE” DI OJALÀ II
Il 2009 è stato l’inizio della rinascita di Ojalà II. Il Cantiere Pezzini ha smantellato la coperta originale in compensato marino di mogano, imbullonata a un reticolo di bagli in alluminio e doghe di teak larghe 45 millimetri e 12 millimetri di spessore. Successivamente si è proceduto alla sabbiatura della sovrastruttura e della cinta sul punto di attacco delle lamiere, che sono state così preparate per la saldatura delle nuove lamiere in alluminio dello spessore di 5 millimetri. È seguita la livellatura con stucchi epossidici e l’incollaggio con adesivi poliuretanici del nuovo ponte, composto da doghe di teak dello spessore di 12 millimetri e lunghezza superiore anche a 5 metri. Nel 2013 si è proceduto al rifacimento dell’impianto elettrico, nel 2015 è stato posato il nuovo motore Volvo Penta D2-55 da 55 HP (che ha incrementato di 1 nodo la velocità di crociera), nel 2017 sono state rifatte la cucina e la zona carteggio in legno di teak e il pagliolato. Nel 2019, dopo oltre 200.000 miglia di mare, il vecchio albero in alluminio Sparlight lungo 14,75 metri è stato sostituito da un nuovo albero a due ordini di crocette della Velscaf di Franco ‘Ciccio’ Manzoli, con profilo classico in alluminio e sartiame in tondino. Sempre quell’anno è stata eseguita la prima lamatura del ponte di Ojalà II.
LA VELATURA
L’attuale set di vele in dacron realizzato per Ojalà II, sono circa 25 quelle confezionate dal 2009 ad oggi, le consentono di competere indifferentemente nelle regate con certificati di stazza IRC, ORC International e CIM. Sempre quell’anno, a bordo di Ojalà II è salito il velaio Guido Cavalazzi, oggi Senior Designer Consultant nel settore vele classiche per North Sails, amico di gioventù del sopracitato team manager Frova nonchè velaio delle campagne italiane di Coppa America per Azzurra, Il Moro di Venezia e di Luna Rossa fino all’edizione di Valencia. Proprio per Il Moro, nel marzo 1992, Cavalazzi è stato il primo al mondo a realizzare a San Diego un genoa e una randa in laminato di carbonio, fornito dalla Montedison.
BLACK TIE, UN ALTRO ‘CLASSIC SWAN’ IN RESTAURO DA PEZZINI
Il passaparola conta. Dopo il refitting nel 2020 di Vanessa (leggi qui l’articolo), lo Swan 47 del 1985 di Matteo Salamon, Presidente della Sparkman & Stephens Swan Association, un altro armatore, l’imprenditore milanese Massimo Crovetto, ha scelto di avvalersi del Cantiere Pezzini per il restauro di Black Tie, il suo Swan 47 lungo 14,57 metri del 1981 (il 56esimo sui 70 ‘Swan 47’ varati dal cantiere finlandese Nautor tra il 1974 e il 1985). La barca, di colore nero come uno smoking, ha navigato diversi anni negli USA, poi è giunta in Europa. Entrata in cantiere a novembre 2020 tornerà a navigare entro l’estate. Anche in questo caso l’intervento più importante ha riguardato il rifacimento dei 37 metri quadrati della coperta con teak della Birmania. Tra gli altri lavori la riverniciatura del pozzetto e della tuga con Awlgrip di colore bianco, la sostituzione del plexiglass delle finestrature, boccaporti e oblò, la posa di un nuovo trave in ferro di appoggio in chiglia dell’albero, la riverniciatura degli interni in teak con vernici trasparenti bicomponenti e una mano finale di olio protettivo, la sabbiatura della carena, il trattamento antiosmosi e l’applicazione di antivegetativa, la lucidatura dell’opera morta. Rifatte anche le guide di scorrimento in Tufnol dei boccaporti e delle guarnizioni, invertita l’apertura delle panche del pozzetto, riverniciata la “fascia di bellezza” del paramare e della tuga e rianodizzate le componenti in alluminio di bordo (oblò, pastecche, goiot, ecc.).
LA POSA DELLA NUOVA COPERTA
Come è stato realizzato il nuovo ponte di Black Tie? Dopo lo smantellamento di quello vecchio si è provveduto a realizzare le nuove componenti del pozzetto, tuga, camminamenti laterali e panche, tramite dime in compensato. Il simulacro, tracciato sul pavimento, ha consentito di predisporre fasce di doghe di teak dello spessore di 12 millimetri. Ogni doga, incollata con adesivi poliuretanici previa livellatura e primerizzazione con un fondo isolante epossidico, ha una larghezza di 4,2 centimetri e una lunghezza massima di 6 metri con le attestature (dove termina una doga e ne inizia un’altra) tagliate all’inglese (ortogonali rispetto alla linea di chiglia). Le fasce più lunghe arrivano anche fino a 15 metri. Tramite apposite tabelle tecniche, che tengono conto di temperatura e umidità, sono state stabilite le tempistiche per la posa del nuovo teak. Il tempo di realizzazione è stato di circa 4 mesi. La rinnovata coperta, se trattata adeguatamente, soprattutto se spazzolata trasversalmente rispetto all’andamento longitudinale delle doghe, potrebbe durare ben oltre 15/20 anni.
LE MANOVRE VELICHE
Anche l’armo velico di Black Tie è stato oggetto di ricondizionamento. Dopo lo smontaggio e classificazione dell’attrezzatura, eseguita dall’attrezzista viareggino Francesco Dinelli, si è provveduto alla riprogettazione e semplificazione del piano di coperta e delle manovre veliche. Eliminata la rotaia della randa di cappa, con conseguente tappatura dei fori tramite rivetti svasati usualmente impiegati in campo aeronautico. L’albero in alluminio, originale dell’epoca, è stato sabbiato previa rimozione della canalina, cui è seguito l’isolamento con prodotti epossidici, la spruzzatura di sottosmalto poliuretanico, la brasivatura con grana fine e la posa a spruzzo di due mani di vernice Awlgrip Topcoat Off-White. Lucidate anche le parti in acciaio inox e anodizzata la ferramenta in alluminio.
MAIT II
Prosegue senza sosta da alcune stagioni il restauro di Mait II (guarda qui il video), storico yawl bermudiano lungo 18,80 metri, costruito nel 1957 dal Cantiere Baglietto di Varazze (GE) su progetto di Sparkman & Stephens. La barca, appartenuta al Commendatore Italo Monzino, fondatore della Standa e mecenate dell’omonimo Centro cardiologico di Milano, è stata la prima barca italiana a partecipare nel 1959 alla regata del Fastnet con a bordo il navigatore Francis Chichester, non ancora Sir. In quella occasione Mait II si piazzò al settimo posto in Prima Classe RORC. Nel 1962 arrivò seconda alla Buenos Aires-Rio de Janeiro e partecipò anche ad alcune Middle Sea Race e alla Cape Town-Rio. Oggi appartiene all’editore milanese Guido Tommasi. Tra gli interventi più recenti l’ultimazione della posa delle tavole di fasciame in mogano dello spessore di 32 millimetri, trattenute con circa 2000 chiodi in rame (realizzati in cantiere) di 8 millimetri di diametro, lunghi 10 centimetri e ribaditi internamente da altrettante rosette coniche. Tra i prossimi lavori il ripristino della pala e linea d’asse del timone, dell’astuccio dell’elica, del basamento per il nuovo motore e la ricostruzione degli interni progettati dallo Studio Faggioni. Alle attività di cantiere hanno partecipato in prima persona il titolare Massimo Pezzini, lo zio Sandro Pezzini e il viareggino Luca Sessa, l’operaio specializzato presente in cantiere dalla fine degli anni Ottanta.