Editorial-News di Gori Claudio
“Siamo quello che mangiamo”. Non uno slogan, tanto meno un titolo d’effetto ma l’emergente necessità di vaglio d’un cibo sano. La certezza biologico-culinaria deve sovrastare lo sregolato business che non appare accorgersi d’una latitanza di giovevole condizione fisico-mentale dell’uomo: l’ignota provenienza degli ingredienti, l’oscura terra in cui vengono prodotti o l’anonima coltura e cultura della geo-localizzazione delle aziende produttrici.
“Siamo quello che mangiamo” è il titolo di copertina del mensile #CulturaIdentità (https://culturaidentita.it) che, uscito in edicola ieri 6 dicembre, affronta temi culinari locali e regionali nonché le origini e le funzioni alimentari di molte tradizioni in fase di discostamento d’una tangibilità sempre più orientata alla mercificazione del “piatto”, alla standardizzazione d’un primo o d’un secondo col contorno che ovunque è oggi eguale; una forma di globalizzazione asimmetrica in cui la ricetta dal gusto sincero non è individuabile nell’anoressica composizione algoritmico-alimentare ma lo è nelle vesti della nonna o della mamma, come provocatoriamente dichiarato dallo Chef padovano Paolo Caratossidis intervenuto ieri all’incontro “STORIA DELLA CUCINA VENETA” presso Villa Tiepolo – Da Zara – Pizzo in Casalserugo (PD). Le nonne e le mamme d’Italia rilanciano tra generazioni il polso della pentola, la saggezza della cottura, la capacità d’intervento sulla pietanza col cuore che oggi è defunta in molte statiche tavole.
All’evento culturale “STORIA DELLA CUCINA VENETA”, organizzato ieri dall’associazione CulturaIdentità, sono intervenuti non solo i relativi segretari regionali ma anche il presidente Edoardo Sylos Labini e lo stesso Chef Paolo Caratossidis.
“Difendere l’Identità e, conseguentemente, la Cultura di un popolo, è il meccanismo naturale affinchè quel popolo – ha dichiarato Edoardo Sylos Labini – abbia un futuro, lo possa concretizzare o non c’è avvenire se le origini non si rispettano. Dobbiamo difendere le tradizioni e il cibo non è esente, l’arte culinaria – aggiunge Labini, editore del mensile CulturaIdentità distribuito nelle edicole in abbinata al quotidiano Il Giornale – è una risorsa irrinunciabile per capire chi siamo e da dove proveniamo.”
“Buona parte della cucina italiana è la combinazione di alimenti e prodotti sbarcati nel nostro Paese grazie al ricco scambio commerciale tra Oriente e Occidente per mano della Repubblica di San Marco i cui commercianti veneziani erano abili scovatori di nuovi prodotti e spezie in luoghi lontani, sconosciuti. I veneziani – dichiara lo Chef Paolo Caratossidis, promotore del primo Festival Cucina e Cultura Veneta lo scorso luglio a Padova (https://www.festivalcucinaveneta.it) – scoprirono casualmente lo stoccafisso grazie a Pietro Querini, mercante, navigatore e, nel XV secolo, Senatore della Repubblica di Venezia. Egli salpò nell’aprile 1431 da Candia (Creta) per raggiungere le Fiandre con un importante carico di spezie, mercanzie di valore, cotone e 800 barili di vino Malvasia.
Molte tempeste lo spinsero al largo dell’Irlanda, costringendo la nave alla deriva. Querini e alcuni superstiti s’imbarcarono su una scialuppa: in gennaio raggiunsero l’isola di Sandoy, nell’arcipelago norvegese delle Lofoten. Avvistati da alcuni pescatori locali – prosegue Caratossidis – furono aiutati e ospitati per quattro mesi, e Querini ebbe modo di scoprire l’essiccazione, la conservazione e la conservazione del merluzzo. Ecco come Querini portò a Venezia lo stoccafisso che riscosse da subito un grande successo, attribuendogli poi in Veneto il nome di baccalà, oggi famoso nel mondo con tradizionali ricette venete.”
L’evento “STORIA DELLA CUCINA VENETA” è stato moderato da Cristian Sartorato che, a sorpresa, ha introdotto la testimonianza dell’Azienda Agricola Casaria di Masi, circa cento ettari nella provincia padovana arricchiti da chilometri di siepi campestri, un innovativo sistema agroforestale con pioppo e farnia lungo le scoline e i capofossi restituendo biodiversità e verde lussureggiante: hanno trovato casa specie animali rare e protette come la ghiandaia marina, dal tipico colore blu elettrico, e l’airone cenerino. Un’azienda che ha uno scopo tanto nobile quanto identitario-culturale: il ritorno alla terra. Un’agricoltura umile e sostenibile e la cura della terra hanno premiato Casaria come l’unica azienda privata italiana ad entrare nel progetto AGFORWARD (AGroFORestry that Will Advance Rural Development) finanziato dall’UE, diventando al contempo una delle aziende fondatrici e sede operativa dell’ AIAF (Associazione Italiana Agroforestazione).
L’On. Elisabetta Gardini, molto sensibile al Made in Italy e fortemente contraria a qualsiasi contraffazione alimentare, ha espresso preoccupazione per l’intromissione della Comunità Europea di discutibili classificazioni della produzione alimentare tipicamente italiana. L’introduzione del cosiddetto Nutri-score penalizza i nostri prodotti, classificandoli con colori semaforici che lasciano senza parole: un semplice bollino con il quale gli alimenti vengono classificati. Coldiretti e Codacons hanno già bollato come “ingannevole e sbagliata” questa etichetta valutativa.
“STORIA DELLA CUCINA VENETA” s’è concluso con la degustazione di prodotti tipici che hanno reso onore all’evento che, a sua volta, potrebbe essere il seme per futuri incontri sulla ricchezza alimentare italiana e locale che spesso è sfregiata dal consumismo confusionale, calpestata da irrispettosi tacchi. Spesso la frenesia e la congiuntura temporale-modaiola annuvola la genuina fonte di vita: la terra, accomunata alla irrinunciabile purezza dell’”umile” acqua.
Ecco perché “siamo quello che mangiamo”.