di Gori Claudio
Tastiere che s’incontrano oggi a Padova, nello storico centro tra un mattone e la malta di mura contrastanti, tra un palazzetto e una via in cui l’anima risuona e rispecchia il momento del solstizio d’enfasi. Tastiere che s’incontrano e gemellano sentimenti tra fantasia d’un pezzo da scrivere ed il virgulto d’un Blues Man al pianoforte, Max Lazzarin, e dieci amabili dita, di Alessandro Arcuri, dedicate al basso con soave rispetto dell’irridente pianista saldato all’ebano e infuso con l’alternativo avorio.
Svettano le note, ambiscono gli assoli e le dita armate di sentimento schiaffeggiano il piano fino a rendere onore al sorgente notturno d’emozioni e ripercussioni ebbrose che dalla spina dorsale risalgono verso la nuca, la vera destinazione di cotanta emozione.
Si, proprio così al Refosco Blues Festival di Padova: fottuti sentimenti arcaici tanto più divini ed a pochi centimetri dal vibrìo di tasti e corde che, tra uno scambio d’occhiate e “ombre salutari”, rendono il duo dei purosangue affatto scontati.
Max Lazzarin è preso, nei decenni, dallo spirito di condivisione d’emozioni dinamiche mentre Arcuri investe il fondo di note con discreta e scottante elettricità, volteggiando dal pizzico di follia che nessun altro genere musicale può trasmettere.
Sfumature cromatiche s’alternano all’iride incantato, mentre l’evento organizzato dalla SoundKode Association s’ambienta all’immaginario Black&White tra le vene impregnate.
E’ il momento dell’immacolato Blues, del Boogie-Woogie e poi, d’incanto, un tuffo nella New Orleans in cui la partecipazione ad un funerale si evolve in sensazioni musical-cerebrali intonate dalle centinaia di ospiti in blues-jam-session. Un tripudio d’emozioni che sgorgano come il tuffo d’una fontana in piena eruzione.
Giunge Saint James Infirmary di Cab Calloway, l’”ombra” s’impenna e le neuronali sensazioni s’abbandonano alla sofferenza del testo, al ballo d’una risorgente vita contro una perdita orrenda ma questo è il Blues, piaccia o meno alla retorica commerciale in cui una base distorce il sentimento.
Primo piano, tavolo a contatto con il pianoforte, pubblico che s’incita e canta lanciando vibrazioni alle spalle di coloro che in prima fila s’eccitano ulteriormente al progresso tra un fa ad un la sbattuti ardentemente come fossero un muscolo cardiaco, lanciato tra le corde di Arcuri mentre il calice attende affianco d’essere invitato all’arpeggio con nuovo rabbocco.
Folks, non v’è interpretazione in questi caratteri digitati da una alternativa tastiera a quella melodica, non v’è minuziosa invidia al basso ma perdonatemi: un piano Blues Man è incanto, risorgimento dell’essere, un esplosivo accento notturno un cui essere tutt’uno con la cerchia è una emozione forse non per tutti.
Scampoli di storie cantate, suonate e urlate perché non v’è destinazione migliore che l’anima aperta alla cultura dell’accoglienza pentagrammale. Il microfono ondeggia mentre le espressioni facciali si plasmano al canto assogettato dal ritmo. No, non una visione canora e immateriale d’un invito al godimento melodico, non una prevedibile armonia d’impulsi: Lazzarin, un lazzarone d’emozioni è il soul commander ed essere trascinati è la conseguenza d’un innato e implacabile ardore.
Scontato sarebbe qui un elenco dei brani suonati, noioso un elaborato statico e freddo d’un evento Blues, aberrante l’enumerazione sonora: il Blues è imprevedibile ed è vissuto da chi nel sangue ha ancora il calore del cuore.
Vivibile una sola volta, mai eguale e se la buona sorte vi avvicinerà al Blues, ebbene con Max Lazzarin avrete il privilegio d’un coinvolgimento al quale lascio a Voi l’interpretazione d’un vissuto differente dal reale, dalla routine, dallo scontato essere ed apparire.
Si fottano i generi scippatori di emozioni statiche, siano benedetti i sentimenti scaturiti da scale musicali ed esafoniche, arricchite dal cromatismo tra il terzo e il quarto grado di una gradazione pentatonica minore.
Si estromettano gli anemici d’emozioni, il Blues li arrotolerebbe a sé.