Editoriale, Gori Claudio (direttore@irog.it)
Essere giornalisti oggi richiede sempre più sacrificio, formazione professionale, impegno senza orario e in corsa tra una intervista e una fonte per produrre poi la notizia a cui il lettore ha diritto, nella sua essenzialità, neutralità e rispetto di codici deontologici. Un lavoro professionalizzante, sia per i pubblicisti regolarmente iscritti all’Ordine sia per quanti vogliano avvicinarsi ad un mestiere che molte soddisfazioni dona, ma anche rinunce e fatica richiede.
In quest’ultima settimana il comunicato del Cdr di un noto quotidiano comunica una unilaterale decisione: il drastico troncamento dei compensi dei collaboratori in rapporto alle righe prodotte, a partire dal prossimo 1 maggio, ricorrenza della festività dei lavoratori, se oggi tale può essere qualificata.
Il rigaggio dei pezzi sarà innalzato, senza adeguamento del modico compenso percepito dal giornalista collaboratore “La griglia di riferimento, imposta senza alcuna contrattazione, va da un minimo di 4 euro a un massimo di 19 euro lordi, senza alcun rimborso delle spese sostenute. Per 19 euro lordi sono richiesti i servizi superiori alle 68 righe. Si tratta di compensi inaccettabili: uno sfruttamento del lavoro giornalistico, – dichiara una nota dell’Ordine dei Giornalisti del Veneto – di cui viene calpestata ogni dignità in una fase in cui sarebbe invece necessario investire sulla qualità professionale. Sindacato e Ordine si attiveranno in tutte le sedi, ad iniziare dalla magistratura, per tutelare gli interessi dei colleghi e per perseguire eventuali responsabilità individuali.”
Il pubblico, il lettore e l’intera comunità hanno una visione nobiliare del giornalista moderno, merito dalle passione e dedizione costante infuse con l’adrenalinico scopo di informare puntualmente di eventi, cronaca, politica quale delicato tema che lambisce talvolta il rischio di ripercussioni professionali, oltre gossip e l’amato sport nelle sue eterogenee discipline. Eppure cotanta dedizione e professionalità, che indirettamente amalgama il pubblico e porta al successo i giornali, sembrano essere difetti anziché pregi. Dedizione, puntualità e professionalità sono un vantaggio, un diretto beneficio per gli editori; il giornalista vive il tessuto sociale e politico, ambientale e sportivo per produrre righe d’emozione o di discussione, digitando righe su righe e consumando le proprie suole, il carburante e la serenità a proprie spese: mai un giornalista si permetterebbe di etichettare un editore come semplice “stampatore”, al contrario la professione giornalistica sembra essere mortificata, anche il collaboratore giornalista ha il suo break-point oltre il quale v’è la insperata miseria economico-professionale.
Una scelta quella dell’editore “[…] senza preoccuparsi in minima parte che così facendo si va a incidere nella carne viva delle persone, molte delle quali hanno nel Gazzettino l’unica fonte di reddito – aggiunge l’Ordine del Giornalisti del Veneto – fornendo la loro prestazione quotidiana in regime di mono committenza […]”.
Perché una simile umiliazione per i collaboratori giornalisti? Perché non un invito alla partecipazione alla valutazione economico-professionale con l’Ordine ed i sindacati? Perché cotanta “molestia” economica? La motivazione del quotidiano chiarisce la causa: “[…] abbiamo rilevato che il nuovo Gazzettino presenta una sostanziale e significativa variazione dei volumi interni, determinatasi principalmente come conseguenza dell’ampliamento del format e delle modifiche intervenute sulla grafica”. Il malessere è figlio d’una scelta editoriale che, forse, doveva essere valutata a priori, prevedendo inconvenienti o problemi che avrebbe potuto produrre; la comunicazione aziendale deve contemplare una relazione interna anche con collaboratori e professionisti che avrebbero potuto scongiurare una simile carneficina remunerativa e proporre alternative d’interesse comune.
Conseguenza? “…i pezzi imposti dal grafico sono più lunghi, ergo, si scrive di più, ergo risultano più pezzi con rigaggi maggiori e relativi compensi e quindi la spesa cresce.” Lavorare di più per essere pagati meno: se applicato da tutte le testate nazionali si innescherebbe la miccia del cottimo stracotto che potrebbe indurre ad una produzione di minore qualità e quantità, con conseguenti riduzioni delle copie vendute e ulteriore ipotetico taglio dei compensi. Il morso della coda è prevedibile ed il rischio è che si pubblichi tutto e di tutto per riempire gli spazi vuoti: non è sicuramente questo il caso, mai il rischio futuro che altri editori seguano l’esempio potrebbe innescare realmente una riduzione delle copie vendute perché, non dimentichiamolo, il lettore è sempre più esigente e le fonti di informazioni sono molte, non solo cartacee.
Quali sono effettivamente le nuove tariffe, decise dal quotidiano del caso, “comprensive di ogni spesa eventualmente sostenuta e al lordo delle trattenute contributive e fiscali”?
7-20 righe, euro 4,00 lordi
21-43 righe, euro 9,50 lordi
44-68 righe, euro 15,00 lordi
dalle 69 righe in su, euro 19,00 lordi
Ipotizzando una media di euro 10,00 lordi per articolo, un giornalista monomandatario dovrebbe produrre mensilmente e mediamente almeno 120 articoli di 60 righe ciascuno, per un totale di 7.200 righe e raggiungere un compenso mensile lordo di circa 1.200 euro, senza rimborso spese. Spese costantemente in crescita, confidando nella buon salute. L’ulteriore rischio indiretto? Un effetto mediatico che potrebbe avviare un lento abbandono della professione collaborativa e un allontanamento di giovani la cui sana passione e curiosità andrebbe a favore della qualità, del servizio offerto al pubblico ed anche dell’editore
La stampa nazionale necessità di un generale riordino e perfezionamento delle linee editoriali affinchè combacino anche con le esigenze dei lettori, evitando il collasso economico. La lettura giornalistica deve essere incentivata dall’interesse, dal pregio e certamente dal ritorno economico editoriale, ma non sempre il taglio dei costi è l’esclusiva soluzione. Deve prevalere il coraggio nazionale d’investimento e non di dequalifica o sufficienza mediatica. La qualità, diretta o indiretta, potrebbe migliorare ed allontanare il rischio di impassibilità del pubblico: le copie vendute sono o saranno la prova tangibile dei miglioramenti apportati.
Non è questa un’ode al giornalista, professionista o pubblicista che sia, bensì una fantastica e triste realtà: il fantastico amore per la professione esercitata ed la triste ingratitudine economica.