In attesa di comunicare il suo progetto alpinistico per il 2018 (“Se tutto andrà bene, il mio secondo Ottomila”), Hervè Barmasse ha già programmato per il nuovo anno di organizzare una serie di workshop dedicati alla preparazione di alto livello per gli alpinisti. In questo modo l’atleta del Team The North Face potrà divulgare le conoscenze – in termini di allenamento, recupero degli infortuni e alimentazione – da lui applicate con successo prima e durante l’ascesa allo Shisha Pangma (8.027 m) dello scorso maggio.
“Dal punto di vista della preparazione, pensavamo di essere arrivati in ‘alto’”, spiega il 40enne alpinista di Valtournenche. “Invece ancora non abbiamo capito da quanto in ‘basso’ stiamo partendo. L’idea è portare adeguate conoscenze e una metodologia d’allenamento a tutti, lungo un percorso da seguire adeguato sia agli amatori, sia ai professionisti, che potranno preparare le loro scalate anche in città. Perché non si deve lavorare necessariamente in montagna. Per questo, non senza alcuni dubbi iniziali, ho iniziato a frequentare una palestra per fare pesi. Poi ho curato la parte cardio nuotando in piscina. E ho rispolverato le uscite in bicicletta. In pratica, ho ripreso dei concetti che somigliano più al mio passato di sciatore in pista che quelli dell’alpinista. Ma questa preparazione verranno affiancati anche dei moduli sulla sicurezza perché se l’idea, da un lato, è di progredire sulle prestazioni e i risultati, dall’altro rimane quella di continuare a divulgare la cultura della montagna”.
Ad avvicinare Barmasse a questa nuova “frontiera” è stato un infortunio grave nel 2015 e uno successivo nel 2016: “Ero nel letto d’ospedale e sapevo che, se avessi voluto recuperare e ritornare a scalare ad alti livelli, mi sarei dovuto porre un obiettivo importante. Cioè, lo Shisha Pangma, che avrei salito senza passare da una via normale, senza l’ausilio dell’ossigeno, di corde fisse, campi preallestiti, Né dell’aiuto esterno degli sherpa”.
Un primo Ottomila unico, bruciando quelle tappe obbligatorie che anche i più forti scalatori dell’ultimo decennio hanno sempre affrontato. Per fare un paragone con lo sport ‘normale’, è come se un atleta sconosciuto, iscritto ai Trials statunitensi, vincesse e si qualificasse all’Olimpiade. E, una volta ai Giochi, puntasse addirittura all’oro. D’altronde, Barmasse (e, con lui, il tedesco David Goettler) ha impiegato il tempo-record di 13 ore per salire dalla base alla cima.
“Di fronte a un obiettivo simile, sai che il talento non basta più, devi iniziare a fare le cose sul serio, a prepararti in modo adeguato. Quando però sono andato alla ricerca di un percorso da seguire, ho capito che quel percorso doveva essere ancora tracciato. Per farlo al meglio ho chiesto aiuto a un preparatore, Piero Cassius e ad Elena Casiraghi, responsabile del Nutrition Center di Enervit”.
In questo modo, Barmasse, oltre a scoprire l’allenamento specifico per l’alpinismo, ha provato i benefici del cacao (“Polifenoli e flavonoidi aiutano la capacità di recupero”) e omega-3 (“Ti tolgono il freddo, e io l’ho riscontrato sul campo, anche se mi sembrava impossibile…”).
“Dopo due anni, adesso abbiamo le basi per promuovere un nuovo alpinismo. Siamo più preparati, più sicuri e consapevoli dei nostri mezzi. Sono sicuro che così anche sugli Ottomila non assisteremo più a turisti che sporcano le montagne, ma ad alpinisti che le rispettano”.