La marcia dei profughi dal centro di accoglienza di Conetta (VE) è iniziata alcuni giorni fa, alla volta di Venezia e poi in località Piove di Sacco (PD), dove sono stati accolti da un centro parrocchiale per la nottata, per poi trovare traguardo a Padova, raggiunta con autobus da poco meno di un centinaio ragazzi e uomini al grido di “No Cona No Buono”. Il 21 novembre scorso hanno attraversato il centro città, sfilando scortati ed a piedi con borse e borsoni per raggiungere e occupare pacificamente Piazza Antenore, di fronte alla Prefettura, e ottenere un incontro con il prefetto Renato Franceschelli.
Gridavano continuamente, manifestando convinti di non rientrare in un campo considerato da essi un lager senza diritti, un sito disagiato e colmo di esseri umani in attesa di un ipotetico riconoscimento dello status di profugo, nella totale privazione della loro dignità. Nei giorni scorsi un profugo ha tentato di raggiungere i suoi compagni a Codevigo, ma a bordo di una bicicletta è stato coinvolto in un incidente stradale ed è deceduto.
Non erano soli, erano supportati dai centri sociali tra i quali BiosLab con il loro portavoce Omar Firouzi; sono stati raggiunti successivamente dal sindaco Sergio Giordani, dal vicesindaco Arturo Lorenzoni, dall’assessore Chiara Gallani e dal consigliere di maggioranza Daniela Ruffini e altri rappresentanti locali. Nel frattempo le forze dell’ordine avevano schierato un cordone non invasivo a difesa della Prefettura, oltre agenti in borghese e della Digos.
Il portavoce dei manifestanti è stato ricevuto e ascoltato, per quasi un’ora, dal Prefetto: è stato chiarito che nessuna loro proposta poteva essere accolta poiché la giurisdizione è di competenza veneziana e che dovevano ritornare presso l’ex base di Conetta, luogo di loro provenienza.
Ivoriani, Ganesi, Nigeriani e profughi di altri paesi africani continuano a manifestare inermi al fianco della tomba di Antenore, arrampicati sugli unici tre paracarri, urlando sempre più “No Cona Basta” o “Cona Campo No Buono”, esponendo uno striscione con scritto “Padova complice e solidale. Apriamo la nostra città ai richiedenti di Cona”, mentre un altro striscione a poca distanza e di chiaro stampo politico lanciava un attacco al “padrone”: “Disoccupati, precari, licenziati. Il nostro nemico è il padrone, non gli immigrati”.
Nessuno dei profughi parlava la lingua italiana: qualsiasi comunicazione, esposizione dei fatti ed esito di incontro con il prefetto o altre autorità è stata fatta in lingua inglese; qualsiasi confronto tra esponenti della BiosLab e Lorenzoni è avvenuto, quindi, senza che molti capissero bene i contenuti.
Il portavoce dei profughi ha fatto un resoconto pacato al megafono, ringraziando per l’ospitalità ricevuta dall’Italia e chiarendo che la manifestazione era e doveva essere pacifica al fine di rivendicare diritti e documenti, oltre che migliore ospitalità. Il rischio del non rientro alla ex base di Conetta per il terzo giorno consecutivo era sempre più concreto poiché dopo tale scadenza “… non possono più rientrarvi” (ha precisato in separata intervista Maurizio Trabuio, presidente della cooperativa Città So.La.Re.); il mancato rientro nell’hub avrebbe lasciato i richiedenti asilo in mezzo alla strada, senza più assistenza e senza documenti oltre la possibile e conseguente difficoltà di controllo da parte degli organi di sicurezza.
Un precedente, l’ospitalità notturna a seguito di “evasione” da un’hub di accoglienza, che rischia di essere d’errato esempio per molti altri profughi ospiti nel territorio nazionale. Non si esclude nei prossimi giorni una eventuale fuga di massa dal centro di accoglienza di Cona o Conetta e i problemi di gestione dell’evento potrebbero essere di più ampia portata, fino allo stato di “vagabondaggio” senza identità e senza reperibilità sanitaria.
“La preoccupazione sicuramente è quella che ci sia uno spirito di emulazione e che vengano tutti qui. Questa è la preoccupazione di tutti, non solo del prefetto di Padova o di Venezia ma anche del Ministero. Uno spirito di emulazione in questi casi ci può essere […] Rischiano solo di perdere i diritti d’accoglienza che oggi hanno” dichiara Renato Franceschelli, prefetto di Padova.
La Diocesi padovana ha espresso contrarietà ad una ospitalità senza coordinamento preventivo e autorizzato, affermando che “…solo se si ritorna nei binari corretti e con la necessaria gradualità si possono trovare soluzioni corrette, in primis nell’interesse di questi ragazzi.”
Il sindaco Giordani e il vicesindaco Lorenzoni hanno rimarcato che, a loro modo di vedere, la soluzione a molti problemi, dovuti agli impianti di maxi-campi d’accoglienza, è l’adozione dell’accoglienza diffusa.
Il dubbio di molti è comunque l’eventuale manipolazione dei richiedenti asilo per il sospetto finanziamento di terzi per i trasporti pubblici e gli spostamenti dei manifestanti; inoltre i cartelli e gli striscioni erano scritti in corretta lingua italiana sebbene nessuno dei profughi presenti parlasse la nostra lingua, oltre la disponibilità di megafoni e la esatta conoscenza delle vie cittadine per l’arrivo a luoghi d’interesse quale Prefettura; tutto ciò lascia intendere una ipotetica pianificazione che non può essere praticata agevolmente dagli ospiti rinchiusi nell’hub.
Durante la serata è stata fatta anche una colletta tra i sostenitori della manifestazione al fine di acquistare cibo e coperte “…qualora non dovessero bastare quelle che abbiamo e comprare i biglietti dell’autobus che come sapete ha dovuto pagare il popolo […] passiamo con un berretto…”
Solo in tarda serata, grazie alla mediazione del prefetto, la Diocesi ha aperto le porte per accogliere i profughi e consentire loro di passare la serata al riparo, con l’impegno preso con le autorità di ripartire la mattina seguente e fare rientro nell’ex base di Conetta.