Ieri pomeriggio in Padova, Piazza Antenore di fronte alla Prefettura, si è tenuto un sit-in di “Padova Città Solidale”, per rendere note le condizioni dei profughi rinchiusi all’interno di hub o aree adibite ad accoglienza di profughi, così come previsto dalla Prefettura. Il movimento, con lo slogan “Spezziamo i confini, costruiamo città solidali”, intende mettere in evidenza l’eventuale anomalia di gestione dell’accoglienza da parte di cooperative che potrebbero non avere competenze o non consentono la trasparenza nei trattamenti all’interno dei campi, in cui oggi convivono centinaia di persone di etnia e religioni diverse, in attesa di asilo: oggi entrare alla Prandina di Padova, o in qualsiasi altro centro di accoglienza, è quasi impossibile: non risulta sufficiente trasparenza interna al fine di valutare le condizioni umane e sanitarie dei profughi. Le cosiddette “Visite di Garanzia”, come dichiarato da alcuni esponenti presenti alla manifestazione, devono essere volte a monitorare le condizioni di vivibilità e igienico-sanitarie, oltre il rispetto dei diritti e della dignità dei migranti stessi: nello spazio web dedicato, si legge che “Diventa impossibile visitare questi luoghi per monitorare le condizioni in cui vivono centinaia di richiedenti asilo, che spesso costretti sotto il ricatto della commissione che giudica le loro domande preferiscono il silenzio alla denuncia. “.
Alcuni cartelli vengono appesi sulla tomba di Antenore con il nastro adesivo: “Visite di garanzia alla Prandina subito!”, “Chiudere gli hub dell’esclusione e del razzismo” e “Accogliere non è sfruttare. A voucher non si può lavorare. Padova Città Solidale”.
Il movimento considera inaccettabile lo stato dei fatti e chiede energicamente alla Prefettura di Padova di chiudere hub quali la Prandina di Padova, quello di Bagnoli e di Cona poiché non garantiscono dignità e diritti per i profughi. Esso chiede, inoltre, una gestione più chiara e trasparente dell’accoglienza per evitare che soliti noti o alcune cooperative possano orientare il loro interesse al profitto e non alla accoglienza pura.
Viene evidenziata dai manifestanti una avversità all’utilizzo dei voucher quali forma normale per regolare i rapporti di lavoro: sono richiesti provvedimenti per garantire una continuità lavorativa in caso di appalto nella gestione delle strutture di accoglienza.
Durante il sit-in odierno era presente anche l’Avvocato Aurora D’Agostino, di Padova, che ci ha rilasciato un’intervista chiarificatrice e orientata ad una visione legale: “L’iniziativa odierna è un incontro partecipato con la Prefettura, per quanto possibile e dall’esterno. Il motivo della delegazione e dell’incontro è un appello, da me sottoscritto con la mia ‘Associazione Giuristi Democratici’ e con molti altri, verso la situazione degli Hot-Spot ovvero di quei campi in cui sono ammassati centinaia di profughi in attesa costante. Durante questi mesi l’unica loro attività è stata da un lato l’attesa in condizioni di sovraffollamento e difficoltà nei servizi, e dall’altro lato una mescolanza e coabitazione forzata con centinaia di persone sconosciute e un mix di linguaggi e culture. Noi dell’‘Associazione Giuristi Democratici’ abbiamo visitato, nei mesi scorsi, l’hub di Cona dove ci sono state prese di posizione da parte dei profughi che vi risiedono, per segnalare disagi e difficoltà. Questi hub sono centri militarizzati, perché non si può entrare o uscire liberamente, sono luoghi sorvegliati: la stampa non può entrare, non si possono scattare foto, tanto meno ciò è stato concesso alla nostra delegazione quando ci siamo recati l’ultima volta; abbiamo registrato, ma con una autorizzazione. Ambienti estremamente vigilati per consentire la impermeabilità con l’esterno, in cui sono ammucchiate senza alcuna cura centinaia di persone. Tutto ciò, ovviamente, crea problemi con le popolazioni: noi siamo favorevoli ad un modello di accoglienza completamente diverso, più rispettoso per i profughi e per le popolazioni che si vedono ottocento persone riunite nelle campagne, generando sentimenti di razzismo e situazioni non conformi. Inoltre dobbiamo considerare quanto emerso, nei mesi scorsi, riguardo la gestione di questi centri con cooperative che hanno lucrato in maniera evidente, partite dal nulla come gestori dei rifiuti, e improvvisamente trasformati in gestori di situazioni per migranti, decuplicando i loro fatturati. Crediamo che da parte della Prefettura ci debba essere un controllo più rigido nel sistema degli appalti, ma soprattutto deve essere adottato un sistema di garanzie reali e permeabilità con l’esterno. Chiediamo anche di poterci recare a visionare periodicamente tali centri, e in particolare la Prandina di Padova. Altra richiesta, molto importante dal punto di vista legale, è di non consentire ulteriormente questo sistema poco simpatico di gestione dei centri, anche per quanto riguarda l’utilizzo dei lavoratori: questi ultimi sono l’immagine della precarietà. Una delle richieste che faremo è di garantire nei prossimi contratti e appalti la clausola sociale, ovvero quella che consente, in caso di cambio di cooperativa, di non eliminare il personale, ma che possa permanere nell’attività: è fondamentale che le persone che lavorano in tali settori, abbiano la garanzia di continuità di lavoro e presa in carico, di accoglienza, di cura e sistemazione dei profughi che vengono accolti. A noi non interessa il colore della cooperativa, o se di una o dell’altra parte, ma ci interessa che il servizio sia garantito”.
Interviene nell’intervista anche il Dott. Maurizio Borsatto, medico di base di Padova, affermando che “Dal 2011, con la primavera araba, abbiamo cominciato a seguire ufficialmente e in modo riconosciuto dal Servizio Sanitario Nazionale, i ragazzi che arrivavano. Tant’è che molti di loro, regolarizzati attraverso varie associazioni, hanno acquisito il tesserino sanitario e quindi hanno diritto all’assistenza sanitaria. Io, medico di base, ho seguito questi ragazzi in modo ufficiale, come normali pazienti, salvo il fatto che poi ci sono una serie di procedure che fanno decadere il tesserino, mettendoli così in difficoltà. Dal punto di vista sanitario, comunque, sono stati seguiti molto bene. Il primo accesso che si faceva attraverso la Usl 16, gestito dalla dottoressa D’Aquino, era una visita medica e la garanzia che non avessero malattie e fossero in difficoltà di essere inseriti in associazioni. Il problema grosso non è che abbiano malattie, ma che vivendo in promiscuità possano acquisire delle malattie: è più facile che le prendano qua, che non da dove sono venuti”.
Dott. Borsatto, c’è uno specifico protocollo da seguire?
“C’è un protocollo da seguire e gestito dalla Dott.ssa D’Aquino che è responsabile della Usl. Dal punti di vista dell’accoglienza sanitaria, sia i regolari sia coloro che hanno un permesso transitorio di accoglienza, acquisiscono il diritto ad avere assistenza e, quindi, vengono iscritti regolarmente ed ottengono il tesserino sanitario.”
Quindi chi non ha il tesserino non è curato?
“Vengono seguiti tutti. In scienza e coscienza, come medico vedo uno dei ragazzi che era stato espulso da Cona tempo fa, perché sobillatore o non ricordo per cosa, e avendo avuto la peritonite, siamo riusciti tramite la Usl a fargli fare un tesserino sanitario, tant’è che è stato operato ed ora sta bene. Questa prima accoglienza sanitaria forse sostituisce tante altre accoglienze che dovrebbero essere fatte: il rischio è che si ponga troppa enfasi dal punto di vista sanitario, e magari non si sviluppino una serie di altre procedure che devono portare al lavoro o quanto meno ad una integrazione”.