Stranamente l’evento storico-sportivo di orgogliose origini cinquecentesche è molto noto oltre confine, più che in Italia; eppure, viverlo in “Fiorenza” è tutt’altra storia, tutt’altro sentimento fino a rivendicare l’appartenenza al quartiere, così come forse nessun’altra rievocazione: una sfida tra calcianti di quattro quartieri fiorentini, senza scampo di sorta quando s’entra nel sabbione vestendo la livrea che trasforma ciascuno in gladiatori: Verdi di San Giovanni, Bianchi di Santo Spirito, Azzurri di Santa Croce e Rossi di Santa Maria Novella.
Quest’oggi s’è disputato un incontro di rispetto, un’appuntamento d’orgoglio tra Verdi e Bianchi, durante il quale “lo core” di entrambi gli schieramenti ha pulsato fino all’ultima “caccia”, fino all’ultimo sopracciglio o naso violato dal pugno, dal corpo avviluppato tra gli altrui muscoli d’acciaio, fino all’istante in cui sangue e nervosismo hanno giuocato il destino della partita: 8 cacce per i Bianchi, 5 per i Verdi.
Se vi aspettate un nudo, crudo o anestetico articolo non avete compreso il sentimento di chi vive o ha vissuto pietra dopo pietra le vie del centro o di quartiere a Firenze, “di là d’Arno o qua dal Ponte”. Si è conclusa oggi la prima semifinale in Piazza Santa Croce, sotto lo sguardo del sommo marmoreo Dante Alighieri, tra tribune e curve gremite, con il Magnifico Messere, quest’anno impersonato dal sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che ha proceduto con il discorso d’avvio del giuoco.
L’incontro si è svolto in costante equilibrio e parità di punteggio, fino al guizzo finale dei Bianchi: nel Sabbione, nonostante alcune espulsioni di calcianti e dubbiosi regolari atterramenti di corpi, volanti in stile lotta greco-romana, si è notato un estremo rispetto tra gli spalti avversari; qualche calciante “irritato” ha rischiato, però, di scatenare una rissa in campo tra centinaia di persone, ad incontro terminato. Astio da discutibile savoir-faire in campo? Non interessa: non v’è odio, spesso il rancore termina all’uscita dall’arena. Nessun brutto incidente. Oggi è stata l’occasione per ricordare Biagio Cingolani: un minuto di silenzio per il giovane calciante dei Rossi, mancato in gennaio per una malattia.
Il corteo storico della Repubblica Fiorentina è partito da Piazza Santa Maria Novella, per giungere sul Sabbione; raffinati i colori in abito e corazze d’epoca, Gonfalone del Corteo scortato dalla Famiglia di Palazzo, nel quale è rappresentato il Giglio rosso in campo bianco sottoscritto da Fiorenza. Una immagine di Firenze nobile e storicamente legata a tradizioni popolari e alla vita dei fiorentini. Il Giglio rosso su sfondo bianco rappresenta il fiore Iris Florentia, alquanto diffuso nelle campagne fiorentine d’allora.
Quest’anno, prima dell’incontro e in un surreale svuotato limitrofo centro storico per motivi di sicurezza, abbiamo avuto accesso da Via dè Benci, intervistando esponenti storici dei calcianti Verdi di San Giovanni. Incontriamo per primo il verde e storico “Cucciolo” (a dx, nella foto che segue), che ci presenta cordialmente Massimo Volpi (a sx, nella foto che segue), da anni inossidabile tassello dello staff della squadra.
Massimo Volpi, cosa significa in cuor vostro il Calcio Storico Fiorentino?
“Claudio, sono nato a Firenze e sono innamorato della mia città: il Calcio Storico è parte integrante del mio corpo e della mente; non saprei esprimermi con parole semplici e magari riduttive. E’ qualcosa che sento dentro, come il quartiere in cui vivo, anche se i quartieri, col senso che intendo, non ci sono più. I vecchi e storici abitanti, parlando dei Verdi, dopo l’alluvione del 1966 sono stati sparpagliati in altre zone: il Comune diede a moltissimi di loro, per necessità, case alle Piagge o a Scandicci e il tessuto rionale dei vecchi fiorentini non è più stato quello di una volta. Sommando il cambiamento geografico mondiale, a causa della globalizzazione e della migrazione, oggi non è più pensabile vivere le strade come allora, in cui io e altri ragazzi giocavamo a ‘mughella’, a ‘mamma troia’: di essi non c’è più nessuno; ci sono abitanti di origine straniera che non vivono probabilmente a fondo il tessuto della città. Per me il Calcio Storico Fiorentino, detto in semplici parole, è una gran ‘bella cosa’, certo se poi oggi riuscissimo a vincere sarei uno dei più felici al mondo. “
Lo scorso anno la finale è stata giocata dai Verdi contro i Bianchi e vinta da questi ultimi; quest’anno la prima partita si giocherà tra pochi istanti: nuovamente Verdi contro Bianchi; che significato ha l’appuntamento odierno?
“Io sono uno sportivo, riconosco che loro hanno una bella squadra. Dopo quasi un decennio e un lavoro molto duro, sono riusciti creare un team di tutto rispetto, e ritengo che siano i favoriti. Però la squadra dei Verdi, negli ultimi due anni in particolare, ha coltivato giovani leve, dando oggi spazio a molti esordienti che non hanno mai giocato in pubblico: si sono allenati assiduamente, ma la piazza è altra cosa. Quando viene chiusa la balaustra, tu sei solo e puoi contare solo sui tuoi compagni. Auspico una bella partita, non pretendo a priori e assolutamente la vittoria. Vorrei che all’uscita vomitassero: ciò avrebbe un significato, nonostante la brutale metafora. Da sportivo se vomiti vuol dire che hai dato tutto te stesso, poi se l’avversario è più forte, è giusto che vinca. Oggi vorrei una partita ‘di cuore’, sebbene dentro di me l’animo desideri la vittoria, altrimenti non varrebbe la pena di scendere in piazza: si consideri che noi, come le altre squadre, abbiamo iniziato gli allenamenti ai primi di febbraio e per cinque mesi abbiamo dovuto trascurare per tre volte a settimana il lavoro, sputando gratuitamente sangue nei campi di allenamento: al massimo gratificando con una cena, una borsa o una maglietta. Null’altro. Tutto ciò per giocare una partita, perché chi perde avrà giocato solo una volta. Rispetto tutte le città, ma per dove sono nato ho un amore particolare e nessuno potrà strapparmelo dal petto, tanto meno l’ardore per il mio quartiere. Quando i calcianti del mio quartiere sono in campo, non ci sono sostituzioni: siamo in 27 contro 27 e perdere uno o due giocatori significherebbe amplificare la perdita: paragonando impropriamente al calcio, sarebbe come giocare in undici contro sette.”
Come vengono scelti i ventisette nominativi che scenderanno in campo? Quale è il sacrificio, anche indiretto, a loro richiesto?
“Noi dobbiamo fornire ventisette nominativi di calcianti, su un totale di 30. Tre non giocano, potranno forse per la finale in caso di vittoria. Al momento della lettura dei tre che non giocheranno, sono stato fisicamente male io per loro, che hanno accettato con onore e coscienza. Dobbiamo tenere presente, ed è ciò che voglio fare comprendere a loro, che vince il colore, non il singolo individuo. Il singolo esprime il nulla, è il quartiere che vince o perde. Chiaramente tra i ventisette c’è chi gioca meglio o meno, per me sono tutti uguali. Ogni anno, escludere tre persone, è una sofferenza immane, tutti ci rendiamo contro che hanno sacrificato tre volte alla settimana la famiglia o il rapporto con la fidanzata; a ciò dobbiamo sommare gli impegni per le riunioni, talvolta la cena fuori casa: non stare con la propria famiglia mediamente, quattro sere alla settimana, non è facile. Li considero gladiatori, da loro voglio il cuore sul sabbione: non mi interessa se il più bravo è uscito indenne; chi viene da me sanguinante, infortunato e magari in campo è stato meno bravo di altri, ha un apprezzamento particolare perché ha donato l’animo per la squadra sfidando coraggiosamente l’avversario a corpo e viso aperti. Non dimentichiamo le origini del Calcio Storico: la partita del 1530, sotto l’assedio delle truppe dell’Imperatore Carlo V, è emblematica. Noi fiorentini siamo anche un poco, come dire, canzonatori e durante l’assedio probabilmente i nostri soldati pensarono, e passatemi l’espressione un poco colorita: ‘le truppe ci assediano? E noi gli si va n’cul…: si gioca a calcio’. Forse per non pensare al reale problema, per esorcizzare lo stato dei fatti, non so ma sta di fatto che la prima partita, il 17 febbraio 1530, venne giocata proprio tra Verdi e Bianchi; il risultato di quella partita è sconosciuto, e non ce ne importa nulla. Circa negli anni ’30 nacquero i colori e squadre degli Azzurri e dei Rossi. Nel Calcio Storico hanno giocato nobili e Papi, a gioco divenuto duro hanno messo in campo il popolo. Ieri sera siamo stati ricevuti in Battistero per la benedizione della squadra, è stato un momento estremamente bello ed emozionante. I Verdi si autofinanziano, non hanno disponibilità economiche come altre squadre, che potrebbero permettersi di pagare per avere professionisti del pugilato o della palestra per decine di migliaia di euro: noi no e non ci interessa. Il campo è tutt’altro che la palestra.”
Ci avviciniamo all’entrata della Tribuna A, lato fontana in Piazza Santa Croce e Massimo Volpi ci presenta, a sua volta, uno storico calciante dei Verdi, Gianfranco Vannozzi.
Vannozzi, lei è uno dei primi calcianti della storia qui oggi…
“Io ho iniziato nel 1957, ed allora era diverso, sia nei ruoli sia nel regolamento. I portieri restavano in porta, gli attaccanti osservavano solo il loro ruolo; oggi non ci sono più ruoli specifici ma tutti sono coinvolti per segnare la caccia o difendere la propria porta. Io giocavo in porta, eravamo quattro portieri. Oggi consiglierei alla gente di cambiare la testa, non le tradizioni: si devono lasciar fare le ‘cazzottate’ che non devono essere confuse con le squallide risse, magari scatenate per motivi che riconducono a screzi avvenuto fuori dal campo: la rivalità deve iniziare e terminare nell’arena, fuori il rispetto deve esserci sempre. Quando giocavo io, le ho prese e le ho date, ma alla fine della partita eravamo nuovamente tutti amici. Oggi scattano molle diverse: ci sono di mezzo alcune discoteche, gli ingaggi in qualità di buttafuori; praticamente per alcuni ci sono interessi paralleli che non provengono dal battito del cuore per il quartiere e la città: questi ultimi, motivi genuini per fare vincere la squadra, non per altro.”
Per lei, Vannozzi, la passione non è tramontata se ancora oggi è qui, sebbene in altra veste…
“E’ come la Fiorentina, l’ho veramente nel mio cuore. L’ultima partita la giocai nel ’72. Successivamente sono rimasto nello staff, anche solo per aiutare o dare un apporto di vario tipo: non ho mai lasciato questo unico e meraviglioso ambiente. E’ uno stile di vita che trascini da ragazzo, ti coinvolge e l’ami. La partita di oggi per me è estremamente importante: giocare contro i Bianchi e come giocare contro la Juventus. Capiamoci bene, qui nessuno odia nessuno, ma ‘sportivamente’ non li posso vedere.”
Salvo brutto tempo e conseguente rinvio, domani 12 giugno giocheranno gli Azzurri di Santa Croce contro i Rossi di Santa Maria Novella, alle ore 17:00 sul sabbione in Piazza Santa Croce: un’altra storia di cuore e di appartenenza al quartiere da vivere col corpo e con onore.
Lealtà e coraggio faranno il resto.