Giovanni Fattori, nato a Livorno il 6 settembre 1825 e morto a Firenze il 30 agosto 1908, è un artista dalle visioni moderne e impegnato nella pittura e incisioni. Un protagonista cimentato in diversi generi e tematiche, ritenuto tra i maggiori rappresentanti del movimento dei Macchiaioli.
Accademicamente formato, si è rivelato un artista di spessore e inimitabile circa all’età di 30 anni, frequentando il famoso Caffè Michelangiolo, a Firenze nell’allora Via Larga ed oggi Via Cavour 21, in cui si riuniva con eccellenze della pittura toscana come Telemaco Signorini, Silvestro Lega, Odoardo Borrani, Eugenio Prati, Adriano Cecioni, Giuseppe Abbati , Angiolo Tricca e Diego Martelli dando vita al gruppo di pittori dell’Ottocento italiano dei Macchiaioli (così definiti nel 1862 dopo una esposizione fiorentina), così chiamati per la tecnica della “macchia” che induceva alla pennellata di colore e puri contrasti cromatici che identificavano inequivocabilmente ciascun artista, grazie a stili personali. Fattori è riconosciuto tra i macchiaioli che ha avuto maggiore coraggio per personalità artistica.
I primi dipinti ritenuti di importanza artistica, considerando che prima dell’età di 30 anni fece principalmente schizzi e poco di definitivo, rappresentavano scene storiche della storia medioevale o rinascimentale. Egli proseguì l’arte della pittura in ambito militare, come fattorino di corrispondenza clandestina per il Partito d’Azione a favore dell’Unità d’Italia, prendendo parte alle battaglie per l’Unità d’Italia: risale al 1860 il suo primo soggetto “Il campo italiano alla battaglia di Magenta” (1862, olio su tela cm. 117×175), composizione è asciutta ed equilibrata che ritrae un istante successivo alla battaglia, in cui si assiste al riporto dei feriti. Sempre più spesso Fattori dipingerà soggetti militari: battaglie e soldati. Denunciò e illustrò la delusione nazionale e l’insoddisfazione di giustizia sociale, producendo capolavori come “Piantoni. Il muro bianco (In vedetta)” (1874, olio su tavola 37×56) o “Lo staffato” (1880, olio su tela 90×130) che rappresenta, con tutta la sofferenza dell’animo, un militare trascinato con forza dal suo cavallo infuriato, lungo un percorso di terra e pochi sassi evidenziandone la devastazione corporale e facciale con striature di sangue dalle tonalità cromatiche esasperatamente naturali e impressionanti. Fattori divenne presto un riferimento classico e venne equiparato a maestri del Quattrocento, come Paolo Uccello, il Beato Angelico, Goya e Cézanne.
Le rappresentazioni delle vicende del nostro Risorgimento sono istantanee del vivere quotidiano dei militari, tra battaglie e soste, tramandando sensazioni realistiche nell’osservatore, percependone condizioni sociali e esistenziali con magistrale capacità artistico-rappresentativa adornate da paesaggi unici e espressivi. Fattori passava, con estrema facilità, dal paesaggio, di cui è stato uno dei più sorprendenti interpreti, al ritratto, raggiungendo risultati altrettanto strabilianti, alle cronache della storia contemporanea, dove è stato testimone di un’epoca, alle scene di vita popolare, dove ha saputo condividere gli stati d’animo e i problemi più drammatici dell’umanità. La deformazione delle ultime opere sembrano anticipare, nella loro sconcertante modernità, le avanguardie del Novecento.
In un frammento autobiografico del 1901, Fattori anziano ricorda: “Il ’59 e il ’66 mi entusiasmai per la redenzione d’Italia che suscitò in me i migliori sentimenti innamorandomi dei fatti d’arme. Studiai la vita militare e illustrai i principali fatti d’arme (…). I francesi passando per la Toscana mi dettero agio di studiarli minutamente da vicino“. Il punto di vista di Fattori, nella narrazione degli eventi bellici e storici, è sempre stato “popolare”, essenziale ed umano.
Vissuto a partire dal 1846 a Firenze, è però ritornato spesso nella sua Livorno, ma anche a Castiglioncello, il luogo prediletto dai Macchiaioli, di cui ha saputo rappresentarne, come pochi, la limpida luce e quadri come “Bovi al carro (Maremma)” (acquaforte su zinco, lastra mm. 245X410) e “La raccolta del fieno in Maremma” (1867-1870, olio su tela cm. 110×160), oltre apprezzati ritratti degli amici Diego Martelli e Valerio Biondi). Nonostante tutto, Giovanni Fattori visse tutta la vita in una difficile situazione economica, subendo tragedie familiari tra le quali la perdita della moglie per tubercolosi, nel 1867. Diciannove anni dopo, nel 1886, ottenne la cattedra presso l’Accademia di belle arti di Firenze, dedicandosi poi all’acquaforte.
Nella sua esperienza di pittore, Giovanni Fattori ricorre al tema del paesaggio della sua terra, la Maremma toscana, con una particolare attenzione al paesaggio agrario, raccontando con il pennello la dura vita del popolo maremmano.
Dal 1867, nella sua esperienza di pittore, Giovanni Fattori ricorre al tema del paesaggio della sua terra, la Maremma toscana, con una particolare attenzione al paesaggio agrario, raccontando con il pennello la dura vita del popolo maremmano. Nella pace di Castiglioncello e dopo le opere “Riposo in Maremma” (Maremma. Siesta” (1870-1873, olio su tela cm. 35×72,5), “L’Arno a Bellariva”(1875 circa, olio su tela cm. 37×101) e “Bovi e bifolco in Arno” (1875 circa, olio su tela cm. 43,8×104,8) episodicamente Fattori si cimenta nel ritratto di immagini private ed in modo particolare di Diego Martelli e della moglie. Dal 1870 circa, v’è il ritorno alla rappresentazione di soggetti privati e al ritratto: atteggiamenti e momenti quotidiani, scontati per molti ma mai realmente rappresentati con naturalezza e pose naturali, come gesti e vita quotidiana con i dipinti “Posta militare al campo” (1872, olio su tela cm. 45×105), “Militari e cavalli in pianura” (1873 circa, olio su tavola cm. 22×61) e “Soldati abbandonati” (1873 circa, olio su tavola cm. 13,5×33,5). Il soldato solitario ispira il capolavoro il cui dominio è lasciato al tema de Il muro bianco, motivo preponderante con rinuncia ad altri elementi narrativa trattenendo la costante sull’incrocio di tre superfici cromatiche, il muro bianco, strada del medesimo colore e il fondo di un cielo azzurro e polveroso nonché opaco.
L’ultima fortunata stagioni di Giovanni Fattori è rappresentata dalle opere del 1887 come “La marca dei puledri” (1887, olio su tela cm. 95×188) e “Riposo (il carro rosso)” (1887 circa, olio su tela cm. 82×178) che condurranno il pittore ai temi dal ritratto al paesaggio naturale maremmano; tra i ritratti famigliari il “Ritratto della figliastra” (1889, olio su tela cm. 70,5×55) esprime la fierezza dello sguardo e traspira l’eleganza e vivacità cromatica, mentre altri ritratti ricordano la famiglia nelle vesti della moglie: “Ritratto della seconda moglie Marianna Bigazzi” (1889, olio su tela cm. 100×69) e “Ritratto della terza moglie” (1905, olio su tela cm. 91×67), oltre paesaggi di atmosfere marine come “Pescatori nell’Antignano presso Livorno” (1893 circa, olio su tela cm. 44×95) e “Giornata Grigia. Sulla spiaggia” (1893 circa, olio su tela cm. 69×100).
Una mostra approfondita e impreziosita da moltissime opere di Giovanni Fattori, dipinti e acquaforte, è allestita a Padova presso Palazzo Zabarella (via degli Zabarella, 14) dal 24 ottobre 2015 al 28 marzo 2016, promossa dalla Fondazione Bano e dal Comune di Padova. La mostra, curata dai più accreditati esperti del pittore livornese, Francesca Dini, Giuliano Matteucci e Fernando Mazzocca, presenta oltre cento dipinti, in grado di ricostruire, attraverso un avvincente taglio cronologico e insieme tematico – dallo spavaldo Autoritratto del 1854, dove riusciva già a rivelare la forza rivoluzionaria della sua pittura, agli ultimi capolavori eseguiti agli inizi del Novecento – la straordinaria versatilità di una lunga vicenda creativa che lo ha visto cimentarsi con tematiche e generi diversi.
“Io amo il realismo; gli animali, gli uomini, le piante, hanno una orza, un linguaggio, un sentimento…” (Giovanni Fattori).