Un editoriale artigianale e convulso dal personale coinvolgimento che delimita il confine tra l’individuale piacere armonico e la concreta capacità di trasmettere brividi spontanei nelle schiene dei presenti, degli ignari che alle note di taluni bravi ragazzi, lavoratori di Conselve (provincia padovana), mescolano la disinvoltura del plettro e bacchette nonché le vocali capacità dei magnifici sette artisti.
Hans Christian Andersen se fosse nato per lo giusto tempo, al fianco di una vintage Fender Stratocaster, avrebbe scritto con maggior convinzione ciò che pensò nell’800 danese: “Where words fail, music speacks” ovvero “Dove le parole falliscono, parla la musica”.
Questa sera, in sella tra il 30 e il 31 agosto, una band tutta indigena e famigliare ha urlato e plasmato il brivido che forse Padova non sentiva scorrere da troppo tempo lungo la schiena sudata, rabbrividita dal tenore costante del ritmo che incalzava uomini e donne di qualsivoglia appartenenza sociale: una fusione arcobalenica di ritmo umanamente sensibile: da Johnny Cash (uno dei sette figli della sua famiglia, sette i componenti della band di questa sera; “Cry, cry, cry” e “Rings of fire” tra le canzoni suonate a Padova) a Elvis Presley, dai Creedence Clearwater (“Cotton Fields”) al Rockabilly style dei primi anni ’50 quale fusione tra blues, boogie woogie, country e R&B. Sublime “I got a woman” di Ray Charles, partorita da giovane e sapiente animo addobbato di abiti reclamanti gli anni ’50-’60 di “American Graffiti”.
Un concerto all’aria aperta, senza trucchi di studio e senza complicità tecnologiche: avvolti in una speciale small forest padovana, lungo il canale Piovego, in cui luci e penombre lasciavano scorrere il ritmo perpetuo tra i copri estasiati. Non verrà mai fatto, qui, il nome della band e del sito di eccezionale accoglienza scenografico-artistica, ma simili capacità non sono facilmente fruibili nel territorio nazionale.
Una sviolinata? No, pura presa d’atto e stimolo per i sette ignoti artisti che nell’animo custodiscono l’energia che molti noti d’oggi hanno perso: sette motrici che hanno trainato un treno colmo di emozioni e soprattutto di music revival che per lungo tempo sarà assente dalla scena.
Non è questa una adorazione verso chi non si conosce, non è questo un editoriale di dubbio convincimento per motivi di qualsivoglia natura, bensì un riconoscimento a sette anime passionali e genuine che, a nostro modo di vedere, latitano dalle scene musicali, oggi oppresse da impegni imposti per business di terzi e non dall’anima.
Padova quale epicentro e raccoglitore di talenti in simbiosi con l’ambiente, ma silenti da non essere scorti, una moltitudine di giovani capaci ma non valorizzati dagli spazi che spesso risultano incubatori per pochi.
La proposta della nostra redazione, nata dalla serata appena passata tra emozioni e testimonianze di puro coinvolgimento del pubblico, è aprire 5 piazze a 5 bands di valore musicale locale e provinciale, per una notte intera dalle ore 21:00 alle ore 01:00 e fare beneficiare la collettività di una sera estiva, del prossimo 2016, a suon di note che giovani e meno possono godere in luoghi che ricordino la loro infanzia o presente esistenza, fisica o memoriale, per vivere sensazioni che sempre più risultano attuali: vivere l’adrenalinica coscienza che essere vivi è anche privilegio per gioire di ritmi e fusioni sensoriali-musicali che oggi sembrano privilegiare la standardizzazione e non la capacità di combinare testi e note, per un successo senza tempo.
Ieri sera noi abbiamo gioito per essere vivi, trascinati nel vagone del ritmo incontrastato della longevità. Tutto il resto è noia, per poltronifera volontà di originalità.
“Here we go” sia il grido di battaglia, l’incipit per fare sognare anche ad occhi aperti percependo l’attimo musicale.
Uno stile di vita.