di Gori Claudio
Non è solo una partita. È un racconto di crescita, di carattere, di giovinezza che si misura col peso della storia. Sul rosso del Principato, Musetti e Alcaraz non giocano solo per vincere: portano in campo il futuro.
Il sole si riflette sul mare e sulle tribune dorate del Country Club. Le onde del Mediterraneo sembrano battere al ritmo del tennis che, da giorni, vibra sulle corde dei giovani protagonisti di questa edizione del Masters 1000 monegasco. Ma oggi, la musica cambia: è il giorno della finale. E per l’Italia, è un giorno speciale. Lorenzo Musetti sfida Carlos Alcaraz. Il ragazzo di Carrara contro il predestinato di Murcia.
Una partita che parla tante lingue, ma soprattutto quella delle emozioni.
Carlos Alcaraz ha l’aura di chi sembra essere nato per vincere. A vent’anni ha già assaporato la cima del ranking, ha sollevato trofei che sembravano troppo grandi per la sua età, e ha affrontato – senza tremare – i giganti del tennis mondiale. È esplosivo, verticale, un atleta che corre come se la terra non opponesse resistenza.
Lorenzo Musetti, invece, ha camminato in silenzio, spesso all’ombra di giganti che lo precedevano e di coetanei che bruciavano le tappe. Ha faticato, sì, ma ha anche costruito. Punto dopo punto, caduta dopo caduta. E oggi è qui. Non per caso. Il suo tennis è poesia in movimento: elegante, rotondo, fatto di variazioni, tocchi, e di quella rara capacità di cambiare ritmo come si cambia il tono in un discorso ben costruito.
Monte Carlo non è un torneo come gli altri. È un palcoscenico in cui la bellezza del gioco si intreccia con la storia, con l’eleganza, con la pressione. Qui non si vince solo con il braccio. Serve testa. Serve cuore. E Musetti ha mostrato, nel corso della settimana, di avere entrambi.
Il suo cammino fino alla finale è stato un esercizio di resistenza e convinzione. Ha battuto avversari più esperti, ha saputo gestire i momenti critici, ha accettato il rischio e lo ha trasformato in opportunità. Quello che ieri sembrava talento non ancora sbocciato, oggi è un tennista completo, con la sua idea di gioco e una personalità che non chiede più permesso.
Dall’altra parte, però, c’è un giocatore che ha la capacità di far sembrare normale l’eccezionale. Con Alcaraz non esistono momenti di pausa. Ogni punto è una battaglia. Ogni colpo, un messaggio. La sua fame non ha pause, e la sua testa, nonostante la giovane età, è già da fuoriclasse navigato. Affrontarlo in finale è come scalare una parete liscia: servono forza, ma anche pazienza e visione.
Lorenzo oggi non gioca solo per il titolo. Gioca per consacrarsi. Gioca per dimostrare che anche il percorso lento, quello pieno di dubbi, può portare lontano. Gioca per chi non parte favorito, ma non smette di crederci. In fondo, non c’è finale più bella di quella in cui il sogno è ancora vivo.
Chi vincerà oggi porterà a casa un trofeo. Ma entrambi, in fondo, hanno già vinto qualcosa di più profondo: la possibilità di raccontare a se stessi e al mondo che il futuro è già qui, e che il tennis, nelle loro mani, è in buone mani.
E allora, che vinca il migliore. Ma che resti, soprattutto, la bellezza di questa sfida tra due ragazzi diventati uomini, sotto il cielo azzurro di Monte Carlo.