83 anni vissuti sul palco, dedicati magistralmente al cinema in compagnia di grandi attrici di rara bellezza.
Michel Dimitri Shalhoub noto come Omar Sharif, nato ad Alessandria d’Egitto il 10/04/1932, è morto ieri 10/07/2015 per infarto a Il Cairo, in ospedale; soffriva da tempo di Alzheimer, ma la passione che lo animava gli concedeva alcuni errori di memoria: un dramma per chi deve studiare e memorizzare copioni di spessore: nulla di ciò ha mai offuscato o scalfito la capacità artistica e gestuale che lo rendeva unico nel suo portamento e classe. Pochi sono maturati e divenuti una mito, un maestro da cui trarre insegnamento.
Omar iniziò la carriera cinematografica quasi per caso, senza quella spasmodica iniziativa di mostrarsi a ciceroni o registi, così come oggi la massa si porge: meri mercenari dello spettacolo, improvvisati non professionisti della scena. Laureato in matematica e fisica, capì da subito che il suo istinto lo dirigeva verso la macchina da ripresa: nel 1953, all’età di 21 anni il regista Yusuf Shahin gli affida una parte nel film “Lotta sul Fiume”. Conobbe in questa occasione la donna della sua vita, l’attrice Faten Hamama, spirata lo scorso 17 gennaio; Omar si convertì all’Islam per sposare Faten, dalla quale ebbe il figlio Tarek. Recitarono insieme in molti film, si separarono nel 1966 finendo il rapporto nel 1974 con il divorzio.
Divo del cinema egiziano, Omar Sharif ottenne il primo vero successo nel 1962 con un film in inglese: il kolossal “Lawrence d’Arabia” (regia di David Lean) interpretando la parte lo Sceriffo Alì (un nobile bramoso di conoscere il mondo moderno, che seguirà Lawrence e ne divenne amico) e recitando con Peter O’Toole (il tenente Thomas Edward Lawrence); altri attori famosi recitarono in questa pellicola, tra i quali Alec Guinness (Principe Faysal) e Anthony Quinn (Awda Abu Tayy). “Lawrence d’Arabia” valse una nomination agli Oscar (1963, miglior attore non protagonista) oltre due Golden Globe Awards (1963, Miglior attore debuttante, Miglior attore non protagonista).
La ricerca di perfezione professionale e la variegata interpretazione di personaggi lo portano nel 1965 ad interpretare “Il dottor Živago” (regia di David Lean) che gli valse il Golden Globe Awards 1966 quale miglior attore in un film drammatico.
Una carriera costellata di successi, ma Sharif amava il lusso, contrasse debiti ma rimase sempre un idolo in terra araba e un mito nel mondo; interpretò molte altri personaggi in film che hanno segnato permanentemente la storia del cinema: negli anni ’60 dichiarò: «Lavoro perché mi piace il lusso e quando finisco i soldi, sono costretto a tornare a recitare».
Dalla metà degli anni ’70 fino a circa la seconda metà degli anni ’80 assumerà parti meno impegnative in telefilm e apparirà in alcuni cammei tra i quali “La Pantera Rosa colpisce ancora” (1976) e “Ghiaccio Verde” (1981).
Omar Sharif credeva nella possibilità di pace tra ebrei e arabi: lanciò simile messaggio nel film “Monsieur Ibrahim e i fiori del Corano” (2003) dove l’amicizia tra un negoziante arabo e un bambino ebreo valse due riconoscimenti alla mostra del cinema di Venezia: premio del pubblico e Leone d’Oro alla carriera. Seguiranno pellicole di grande spessore e interpretazione, tra le quali nel 2004 “Oceano di Fuoco – Hidalgo” (regia di Joe Johnston) e nel 2005 in “Fuoco su di me” (regia di Lamberto Lambertini).
Famoso per la passione del gioco del Bridge, scrisse il libro “La vita nel bridge di Omar Sharif“.
Per i suoi importanti contributi al mondo cinematografico e in ossequio alla diversità culturale, nel novembre 2005 l’UNESCO gli conferì una medaglia all’onore.